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“Le possibilità di andare in pensione con “Quota 100”, con cui si chiede un minimo di 62 anni di età e 38 anni di contributi, rappresenta sicuramente un’opportunità per molte lavoratrici e lavoratori, ma il sistema previdenziale dovrà continuare ad essere riformato”. E’ quanto si legge in una nota della Cisl Nazionale. “Tante donne e tanti lavoratori discontinui non riusciranno ad accedere a “Quota 100” perché 38 anni di contributi sono tanti e mancano meccanismi compensativi per queste situazioni, come ad esempio abbiamo ottenuto per le donne con figli nel caso dell’Ape sociale appena prorogata. Si penalizzano ancora i lavoratori del pubblico impiego perché per loro il pagamento della pensione si sposta in avanti di 6 mesi, così come la soluzione trovata per anticipare in parte il pagamento del trattamento di fine servizio tramite il sistema bancario, sebbene sia un’opportunità, non possiamo considerarla ancora la soluzione alla questione posta, e cioè trattamenti uguali per dipendenti pubblici e privati. Inoltre, se aver bloccato l’incremento dei requisiti per aspettativa di vita sulla pensione anticipata e per i lavoratori precoci è un passo positivo questo non basta perché bisogna bloccare l’incremento dei requisiti anche per la pensione di vecchiaia, per la quale quest’anno sono richiesti 67 anni di età che aumenteranno ancora nel futuro. La CISL, quindi, conferma al Governo le sue richieste: aprire un confronto per la pensione contributiva di garanzia dei giovani che vada oltre la misura della “facoltà di riscatto” prevista nel decreto, la pensione con 41 anni a prescindere dall’età per tutti, agevolare la pensione per chi svolge lavori gravosi e riaprire la Commissione di studio specifica che era stata prevista nella precedente legge di stabilità, tutelare dal punto di vista previdenziale il lavoro di cura, trovare una soluzione definitiva per gli esodati, promuovere davvero la previdenza complementare rafforzando le agevolazioni fiscali e riaprendo un semestre di silenzio-assenso, rafforzare il ruolo delle parti sociali nella governance degli enti di previdenza”. Il comunicato della Cisl fa riferimento anche al reddito di cittadinanza specificando che “Il reddito di cittadinanza introdotto è una misura particolarmente complessa che vuole ottenere un ambizioso duplice obiettivo: l’attivazione lavorativa e il contrasto alla povertà. Per quest’ultimo obiettivo era già in vigore il REI, del quale si sarebbero potuti mutuare gli aspetti positivi, scaturiti da un lungo processo di concertazione con i principali attori sociali e Istituzionali del paese. Per quanto riguarda invece l’attivazione lavorativa, principale via per le famiglie di uscire dalle difficoltà economiche nelle quali si trovano, riteniamo difficile che tale misura possa contribuire ad aumentare l’occupazione, poiché non è stata accompagnata, nella Legge di bilancio, da adeguati investimenti per la crescita e in particolare lo sblocco delle infrastrutture. Il RC potrà incrementare i consumi e dunque la domanda aggregata (retroagendo in positivo sulla crescita economica), ma rischia altresì, nonostante gli incentivi previsti, d’incrementare forme di assistenzialismo soprattutto nei settori più a margine e nei territori disagiati. La fissazione di una misura di contrasto alla povertà di importo elevato, sia pur collegato all’ISEE, associato alla possibilità di reiterare infinitamente il rinnovo, rischia di favorire proprio i disincentivi all’occupazione. Inoltre si è scelto di mantenere fisso l’importo del beneficio anche in presenza di una riduzione delle risorse dedicate rispetto a quelle inizialmente previste e questo ha determinato una scelta della scala di equivalenza meno favorevole rispetto a quella dell’ISEE che penalizza i disabili e le famiglie numerose, in particolare quelle con minori, ovvero proprio quelle che hanno visto crescere la povertà in maniera più marcata. Questo crea iniquità e va corretto nel passaggio parlamentare. Non condividiamo inoltre il vincolo imposto sulla residenza di 10 anni per gli stranieri che risulta discriminatorio e rischia di violare le normative comunitarie. Il nuovo strumento sostiene dunque il reddito dei più disagiati, ma non favorisce l’incremento dell’occupazione e rischia di risultare veicolato prevalentemente a favore dei singoli e delle coppie e non abbastanza verso i minori, ovvero quelli per i quali la condizione di povertà segna più profondamente l’intera vita. Positivo, invece, il potenziamento dei Centri per l’Impiego, che però devono finalmente diventare lo strumento per offrire sostegno a tutte le persone in cerca di occupazione, non soltanto a chi è al di sotto di certe soglie Isee. Una forte criticità è legata all’inserimento dei “navigator” con contratti di collaborazione, che andranno, paradossalmente, ad ampliare il bacino dei precari già presenti nei Centri. Snodo centrale, su cui si fanno solo primi passi, sarà il recupero di un rapporto tra Centri per l’impiego e mondo produttivo per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, che non è mai esistito e che invece è fondamentale, anche per far funzionare il meccanismo del nuovo RC”.