[print_link]
C’è il boom delle aziende che vendono on line, «più che triplicato rispetto a dieci anni fa». C’è l’impennata del numero dei ristoranti, «il 5,9 per cento del totale nazionale». E c’è la conferma dell’appeal del vino made in Sicily: tra le prime 11 imprese vitivinicole italiane con più di dieci milioni di fatturato, «ben quattro sono siciliane». Ma c’è anche un mercato del lavoro in apnea perenne: meno diecimila occupati il dato calcolato per la fine di quest’anno, meno tremila quello stimato per il 2020. E c’è un tessuto produttivo che sopravvive in modalità lilliput: popolato da microimprese per il 92,3 per cento e con «una dimensione media, per impresa, di 4,5 addetti». Ecco le luci e le ombre dell’economia siciliana. Una tartaruga che si muove con l’incertezza di chi segna un passo avanti e due indietro. Nonostante ben diciassette legislature e 59 governi dell’Autonomia. E a dispetto dei decenni di politiche, interventi, patti e misure più o meno ragionati. Insomma, l’immagine che ne viene fuori è quella di un’Isola precariamente appesa a un filo, il secondo numero di Zoom Sicilia, il report Cisl-Diste di analisi congiunturale e outlook delle tendenze sociali e dell’economia. Il rapporto, semestrale, ha visto la luce nella scorsa primavera. Nasce dalla partnership tra l’associazione sindacale guidata in Sicilia da Sebastiano Cappuccio e Diste Consulting, l’istituto di studi territoriali presieduto da Alessandro La Monica e diretto da un comitato scientifico che ha al timone l’economista Pietro Busetta. Zoom Sicilia, con le parole di Cappuccio, «vuole essere un contributo di chiarezza in spirito di servizio. Intendiamo offrire, non solo dati, elaborazioni, informazioni. Soprattutto, uno strumento utile a orientare le strategie e le politiche per lo sviluppo sociale e dell’economia». È stato illustrato stamani nella sede regionale della Cisl presenti, oltre a Cappuccio, Busetta e La Monica, il vicepresidente vicario di Sicindustria Alessandro Albanese, Benedetto Torrisi, statistico economico nell’università di Catania. E collegati in conference call, il vicepresidente della Regione Gaetano Armao, il direttore di Svimez Luca Bianchi; Lino Morgante, direttore editoriale dei quotidiani Gazzetta del Sud e Giornale di Sicilia; Marco Romano, vicedirettore responsabile del Giornale di Sicilia e Antonello Piraneo, direttore responsabile del quotidiano La Sicilia. Ha moderato il dibattito Domenico Cangemi, della Tgr Rai Sicilia. Il meeting è stato trasmesso in diretta su CislSicilia.it. Il report. Parla di ristagno produttivo e occupazionale. Ma non solo. Anche di declino demografico, che non aiuta. Nel 2019, si legge, per il quinto anno consecutivo la popolazione siciliana riporta il segno meno. Quasi centomila persone, per effetto della «scarsa attrazione sugli immigrati. E dell’emigrazione dei residenti, in prevalenza giovani». «Di questo passo – spiega – tra vent’anni la popolazione dell’Isola si ridurrà di altre 160 mila unità». Un progressivo impoverimento di capitale umano, che ipoteca le già difficili prospettive di crescita economica e sociale. Sul fronte dei macrodati, per la fine di quest’anno il Pil è previsto in flessione dello 0,2% con un meno 13% di gap sul 2007, anno che precede le due lunghe fasi recessive dell’ultimo decennio. E in rosso chiuderà anche l’export, dopo il biennio 2017-2018 con il segno più. Al netto della componente energia, nel primo semestre di quest’anno il flusso delle esportazioni si ridimensionerà a 2024 milioni con una riduzione dell’11,3% (+3,3 il dato nazionale). Più 0,3% il lieve incremento stimato per il 2020, invece, della ricchezza prodotta nel territorio regionale. Idem, riguardo ai consumi delle famiglie, che aumenteranno dello 0,4, all’acquisto di beni strumentali (+0,3), agli investimenti fissi lordi (+1,1) e al mercato delle costruzioni (+1,7%). Ma questi segni positivi non si tradurranno in una svolta nel mercato del lavoro, che anzi «l’anno prossimo – con le parole di La Monica – subirà la contrazione di tremila posti. Unica consolazione, per così dire, la stabilità del tasso di disoccupazione che anche nel 2020 si attesterà sul 21%». Per la precisione, 20,7 l’anno prossimo, 21,1 quest’anno. In tema di disoccupazione il report rileva il gap tra tasso ufficiale dei senza lavoro e tasso reale di cosiddetta mancata partecipazione al mercato del lavoro. Quest’ultimo comprende pure «le persone che non cercano attivamente un’occupazione ma sarebbero disponibili a lavorare qualora se ne presentasse l’occasione». Sommando gli uni e gli altri, segnala Zoom Sicilia, si arriva a oltre 900 mila persone che vivono ai margini del sistema produttivo, con un tasso-monstre del 40,3% di mancata partecipazione. Un dato lontano anni-luce, sia da quello riguardante il centro-nord (11,7%) che da quello che attiene all’area sud-isole (34,5). A proposito di lavoro, il report informa che gli occupati in Sicilia sono in tutto un po’ meno di 1,4 milioni. E che appena un terzo sono donne. «La quota di occupazione femminile sul totale – si legge – negli ultimi anni è aumentata fino a toccare il 35,9%. Ma la crescita è lenta e l’Isola resta tra le regioni più in ritardo sul fronte della partecipazione delle donne al mercato del lavoro». Insomma, ecco perché, puntualizza Cappuccio, «alla Regione chiediamo politiche ad hoc per l’occupazione. E misure in grado di attrarre investimenti esterni, che sviluppino l’economia circolare, che consolidino il welfare sociale».
Un brutto segno. È quello dell’aumento delle chiusure volontarie di imprese. Controbilanciato in qualche modo dal rallentamento dei fallimenti aziendali. Quanto al calo delle saracinesche, è «un indizio – rileva il rapporto – del peggioramento della percezione degli imprenditori sulle aspettative future». Nella prima metà di quest’anno, l’incremento delle chiusure risulta, su base annua, del 6,9% contro il 4,3 nazionale. Riguardo ai fallimenti, il numero delle aziende che nel primo semestre 2019 ha portato i libri in tribunale, ha registrato in Sicilia un calo del 9,3%. Si attesta sul -5% il dato medio nazionale. La Sicilia e il web. La quota di famiglie che accedono a internet da casa mediante banda larga, si legge nel rapporto Cisl-Diste, nell’Isola risulta in crescita. Si attesta sul 64,8%. Un dato positivo ma lontano dal 76,9% del nord-est e dal 76% del nord-ovest. La connessione fissa (Adsl, fibra ottica o altro), è la modalità più diffusa. Gli internauti che acquistano on line sono il 44,2% a fronte di una media nazionale del 55,9. «Il divario digitale – informa l’indagine – è da ricondurre soprattutto a fattori generazionali e culturali». Nel senso che le famiglie più connesse sono quelle con almeno un minore o un laureato. Sono meno connesse quelle con anziani o in cui il livello degli studi non va oltre la licenza media. La chiusura del digital divide, sottolineano alla Cisl, «va assunta come imperativo. Perché rendere più diffuse le opportunità che le moderne tecnologie offrono, aiuta a ridurre gap, diseguaglianze, disparità». A proposito di web, constata il report che le aziende siciliane che fanno e-commerce, volano. Ma sullo sfondo di un’economia digitale che resta, in buona parte, uno strano oggetto. Così, ad avere alzato la saracinesca sul mercato virtuale sono quasi 1250 imprese dell’Isola, dato più che triplo rispetto a quello di dieci anni prima ma residuale sul piano nazionale. Rappresenta, infatti, solo il 6,1% dell’e-commerce del Paese. E quanto alle tecnologie digitali, tra le aziende siciliane impegnate a cavalcare la new digital wave, il 73% (60% il dato nazionale) sono ancora ferme ai nastri di partenza. Inoltre, la dimensione aziendale appare come discrimine riguardo all’uso di queste tecnologie. Infatti, sono le imprese più grandi a manifestare «una propensione nettamente superiore». In dettaglio, il 21% delle aziende siciliane risulta legato a gestioni di tipo tradizionale; il 52% utilizza strumenti digitali di base; il 21% si avvale in parte di processi digitalizzati. Il 3% applica con successo i principi di Impresa 4.0. Ma solo il 2% mostra di aver conseguito la maturità nell’impiego delle tecnologie emergenti. Ristoranti superstar. Il mondo della ristorazione è quello in cui il made in Sicily indubbiamente brilla. E non solo perché l’Isola vanta 17 ristoranti stellati di cui due (a Licata e Ragusa) con doppia stella. Perché, informa il report, il settore va al galoppo nonostante l’economia arranchi. Negli ultimi otto anni, si legge, il numero dei ristoranti in Sicilia è cresciuto a un ritmo quasi doppio di quello nazionale collocando l’Isola all’ottavo posto tra le regioni. Si contano 8489 imprese di ristorazione. Ossia, un aumento di 2847 ristoranti pari al +50,5% contro il dato nazionale del +27,4%. Il 27% delle imprese, precisa Zoom Sicilia, è guidato da donne, il 17% da under 35, il 6% da stranieri. Sul piano provinciale, Siracusa è leader indiscussa. Tra il 2011 e il 2019 la crescita, nel territorio aretuseo, è stata del 72%. Seguono Catania, Palermo e Trapani, tutte con un incremento di oltre il 50% in otto anni.
Zes per il turismo. Sarebbero «una novità, una prima volta nel Paese». Zone economiche speciali per agevolazioni, regime fiscale, capacità d’attrarre investimenti esterni. Con l’obiettivo di far decollare l’industria dei viaggi e dell’ospitalità da anni inchiodata, in Sicilia, allo status quo. La proposta muove dalla premessa che l’Isola «ha una densità turistica inferiore a quasi tutte le regioni del centro-nord». In pratica, poco più di 15 milioni di pernottamenti, al di là del più o del meno degli ultimi mesi, che si stima generino, indotto compreso, appena 82 mila posti di lavoro. Troppo poco. 15 milioni di presenze li incassa da sola la piccola Malta. Le Baleari ne totalizzano 65 milioni, le Canarie 94. «Ma se anche si ipotizzasse – spiega Busetta – il raddoppio nei prossimi anni di flussi e occupati, l’incremento sarebbe comunque insufficiente rispetto al fabbisogno di lavoro della regione. E in ogni caso, impossibile da raggiungere senza investimenti esterni, che vanno attratti. E sostenuti». Da qui l’idea che Zoom Sicilia lancia, di prevedere, col concorso di Regione e Stato, Zes specializzate che possano innescare sviluppo. Un po’ come hanno fatto, rimarca Cappuccio, «Cuba con Varadero, il Messico con Cancun o Puerto Escondito, l’Egitto con Sharm El Skeik».
Un bilancio provincia per provincia. La crisi dell’ultimo decennio, che su base regionale ha visto svanire qualcosa come 120 mila posti, su scala provinciale è stata un’autentica débâcle. A salvarsi, per così dire, solo Siracusa che chiude il periodo con un aumento di cinque-seimila occupati, tutti di genere femminile. Ma il petrolchimico, precisa il report, non c’entra nulla. C’entra semmai la rete dei servizi. Ma quel mondo di servizi «a bassa produttività e scarsa remunerazione». Per il resto, sulle province dell’Isola in questi anni ha regnato la notte in cui tutte le vacche sono nere. La performance peggiore, quella del Messinese che dal 2007, anno pre-crisi, perde 38 mila occupati. Altrettanto inquietanti sono i dati delle altre province. Palermo subisce una flessione di 34 mila posti, Trapani vede scomparire 19 mila lavoratori attivi, Agrigento ne vede cancellati 11 mila, Catania chiude il periodo con -10 mila. Enna ne perde 5000. A Ragusa il saldo del decennio risulta negativo per 4000 posti. Caltanissetta, infine, chiude il periodo con 3000 lavoratori in meno. Una débâcle, appunto. Una notte nera.
Umberto Ginestra